Sono venuta in Brasile 44 anni fa per dedicare la mia vita a Cristo e per servire le famiglie povere che ho incontrato condividendo la loro vita.
Non c”è nulla di eroico in questo, ho semplicemente detto Si all’incontro che ho fatto nel 60’ con Antonio, Umberto, Don Giussani che mi hanno guardata come nessuno aveva fatto prima, mi hanno guardata per quella che ero.
Un semplice Si, a ciò che i miei occhi hanno visto e ai gesti proposti per esempio: la caritativa. Questa esperienza mi ha dato il criterio della Condivisione che ha segnato tutta la mia vita, un criterio che vivo ancora oggi dove sono. Non avrei mai immaginato che un Si avrebbe costruito l’opera che sono e mi avrebbe portato dove sono.
Da quell’incontro ho potuto abbracciare la mia storia che non avevo mai accettato prima, senza toglierle nulla: la morte di mio papà, la fatica, il limite,il dolore,la povertà.
Non avevo mai pensato di andare in missione, tanto meno di costruire un’Opera Educativa, ma obbedendo alla realtà accadono cose inimmaginabili: per esempio capire che nella morte di mio papà c’era la tenerezza di Dio, che si è servito di questo fatto per dirmi Tu sei preziosa per me, ti amo, ti ho scelto così come sei.
La coscienza del fatto che Egli mi ha amata, mi ha afferrata e che gli appartengo è stato ed è lo zampillo che sempre mi spalanca alla realtà e a tutti senza riserva.
Per molti anni, arrivata in Brasile, ho lavorato come infermiera e serva nelle case di famiglie povere, curavo le mamme ammalate, mi occupavo della casa cioè pulivo, lavavo i panni, facevo da mangiare e badavo ai bambini. Mi ricordo di mamme che attraverso il mio essere lì con loro, si accorgevano di essere amate e allora mi dicevano con gioia “Sai io sono una persona, ho un valore”.
Nel 78 quando è nata la favela della Boa Uniao con Padre Pigi Bernareggi abbiamo costruito una baracca di legno che serviva da cappella, da farmacia, da ambulatorio e da officina di taglio e cucito. Le mamme venivano in ambulatorio a farsi curare, a prendere le medicine, ma sopratutto a raccontare di sé, dei loro problemi, e mentre loro raccontavano dicevo tra me e me: “Se tu sapessi chi ti guarda, non sono io è un Altro”. Queste mamme portavano dentro di sé un bisogno, una domanda .
Non mi dicevano: “Dai aiutami! Ho i bambini, non so dove lasciarli se mi capita un lavoro”. Ma mi raccontavano delle loro fatiche, il loro essere sole con i figli senza marito, senza parenti, e chi aveva vicino un uomo veniva maltrattata.
Erano le madri stesse a provvedere a tutto il necessario per la famiglia e quando avevano un”occupazione dovevano chiudere i bambini dentro casa perché non sapevano a chi affidarli.
Condividendo la loro vita, le loro vicende, e coinvolgendomi in un rapporto con loro, sentendo su di me la fatica della loro vita, e i loro bisogni ad un certo punto mi sono detta: ” Cosa posso fare per rispondere al loro bisogno, per andare incontro a loro?”.
Ho cercato i miei amici: Silvana, Alipio, Helena per condividere con loro la mia preoccupazione per queste mamme ed abbiamo pensato che potevamo rispondere al loro bisogno costruendo un piccolo asilo.
All’inizio abbiamo usato una tettoia di tela cerata e Padre Pigi ci ha dato delle panche che abbiamo in parte tagliato e usato per far sedere i 25 bambini accolti, le altre le abbiamo usate come tavolo per fare le attività.
Poi attraverso una persona che ha donato il materiale per la costruzione, alcuni uomini della Comunità si sono impegnati nella mano d’opera ed è stato così possibile costruire un salone di 10 metri per 6, un bagno e una cucina.
Non ho una formazione da educatrice, per cui all’inizio ho impostato tutto a partire da come sono stata educata io. Comunicavo quello di cui ero fatta e il mio modo di rapportarmi con il reale che avevo imparato da mia mamma e da don Giussani.
Dicevo a ogni educatrice “L”importante è la tua presenza, è ciò di cui tu sei fatta, è accogliere e guardare uno ad uno i bambini, guardarli come se fossero unici al mondo, perché ogni bambino è unico”.
Vi leggo la testimonianza di una educatrice, Taisa, che è cresciuta nel nostro centro educativo e che ora lavora con noi al nido:
“ Non riesco ad immaginare cosa sarebbe stato di me se non avessi incontrato questo luogo. Ho ricevuto regali che non si romperanno mai ne saranno mai tolti dal mio cuore.
Qui ho vissuto momenti di gioia durante la mia infanzia all’ asilo e poi nel doposcuola Centro Alvorada. Nella mia adolescenza ho vissuto momenti difficili, come la mia gravidanza e grazie alle persone che mi sono state vicino, sono cresciuta, maturata e questo lo devo al mio lavoro ed alla nascita di mio figlio Arthur. Se ora sono un’ educatrice lo devo agli adulti, alle maestre che ho incontrato qui. Se dovessi dare un esempio concreto del nostro metodo educativo racconterei la mia storia.
Sono arrivata alla creche Felicidade quando avevo 3 anni. La prima classe che ho frequentato è stata quella del primo anno di materna. Ai tempi l’ educatrice era Neide. Sempre affettuosa, attenta, amava cantare ed insegnarci canzoni. La mia infanzia è stato un periodo molto speciale e segnato per sempre da persone importanti che mi hanno fatto crescere in un modo che non mi aspettavo. Dio è così buono con noi che, nessuna di queste persone si è arresa di fronte a me. Tutti mi hanno accolto per com’ ero: casinista, agitata,litigiosa ecc..
Per esempio l’educatrice Marta ha avuto moltissima pazienza ed affetto verso di me e mio fratello gemello Tiago che quasi tutti i giorni litigava così tanto da mancargli solo di distruggere la classe, ed io ero uguale. Nonostante il nostro temperamento, Marta non ci ha mai messo in disparte, anzi stava sempre con noi, ci chiamava per stenderci vicino a lei quando arrivava il momento del riposino quotidiano.
Mi ricordo come se fosse ora la pazienza di Neide nell’insegnarci i compiti e nel giocare a palla prigioniera con noi (sembrava una di noi!!). Silvana la cuoca ,che si è sempre presa cura di noi, nei momenti tristi o felici o quando eravamo ammalati. Gilmara che mi ha insegnato il senso del lavoro, si prendeva cura di me come se fossi sua figlia!
Se dovessi scrivere su questo foglio tutte le persone che mi hanno aiutato a crescere, che hanno avuto questo sguardo su di me e sulla mia famiglia, non basterebbe lo spazio, perché sono troppe cose!!
Sono stati questi avvenimenti e queste persone che ho incontrato qui che hanno cambiato la mia vita. Queste sono le parole che userei per raccontare il nostro metodo educativo, Questo sguardo di affetto, di rispetto per il bambino che va ben oltre. È così che io cerco di svolgere il mio lavoro oggi, comunicando in ciò che faccio ciò che è accaduto a me quando ero una bambina da educare!
Il mio nome è Wemerson, ho 21 anni e ora lavoro alla Creche (asilo) Jardim Felicidade. Su richiesta di Rosa sto raccontando un po’ della mia storia che è profondamente legata a questo luogo e alle persone che vi hanno lavorato.
Avevo 3 anni, quando la mia mamma ottenne per noi un posto alla Creche Jardim Felicidade; si era appena separata e stava vivendo sola prendendosi cura di 4 bambini. A quell’epoca la mia sorellina Daiane era appena un bebé. Io ero un bambino che piangeva molto e avevo diversi problemi; nonostante la giovane età mi sentivo solo e senza sostegno morale. Il mio sogno era quello di avere un padre presente su cui poter contare, poiché mio padre non si separò solo dalla mia mamma, ma anche da noi figli. Sola, mia mamma aveva necessità di lavorare e quando ottenne un posto per noi alla Creche fu la salvezza.
L’incontro con persone come Silvana e Rosa mi fece provare l’amore e l’affetto dei quali il mio cuore era tanto ansioso: non erano miei parenti, ma mi guardavano e mi amavano nel modo che mi sarebbe piaciuto avesse fatto mio padre.
Grazie a Dio crebbi in quest’ambiente accogliente e affettuoso che mi aiutò a diventare la persona che oggi sono. Ho un temperamento difficile, ma sono profondamente cosciente dell’importanza di queste persone nella mia vita.
Sono stati molti gli incontri lungo questo percorso e tutti hanno avuto un impatto decisivo nella mia formazione: educatori come “zia” Neide e Vanda, Alìrio, suor Eliane e Cleusa sono stati basilari per la mia maturità.
Incominciai a lavorare alla Creche prima collaborando nelle manutenzioni e poi come aiutante di una persona veramente speciale per me. Trovai in Anderson il padre che tanto desideravo. Su richiesta sua fui assunto come dipendente della Creche. Grazie al lavoro divenni più responsabile e mi sentii una persona con maggiore dignità.
Un’altra persona che mi ha aiutato in modo significativo nel mio percorso, è stata Pamela, una volontaria italiana, che con i suoi consigli mi ha spinto a guardare con più attenzione tutto ciò che mi stava intorno.
Ho ancora molto da imparare, ma so che molto di quello che io oggi sono lo devo a tutti gli incontri che ho fatto in questo luogo meraviglioso, e vedo nella figura di Rosa la persona che ha fatto sì che questo luogo sia una realtà nella mia vita e nella vita di molti altri bambini.
In tutti questi anni, dal 1978 quando è nato il primo asilo ad oggi, sono passati centinaia e centinaia di bambini che dal nido (arrivano a volte che hanno pochi mesi) alla materna, al doposcuola, alle attività sportive, e a quelle d’inserimento al lavoro fanno l”esperienza di essere accolti e amati.
Quest’esperienza è fatta tramite i gesti del quotidiano come il bagno. Negli asili infatti il bagno non risponde semplicemente a una necessità di pulizia, ma diventa il momento di un rapporto personalissimo tra educatrice e bambino, in cui il piccolo può percepirsi coccolato, trattato con dolcezza, può parlare di sé ed essere ascoltato. E” un gesto di affetto esclusivo attraverso cui il bambino prende coscienza di sé e del proprio corpo spesso per la prima volta.
I gesti del quotidiano sono tutti dentro un’intenzionalità educativa perché comunicano sempre qualcosa di più di quello che realizzano: nell’occuparsi di un bambino e, soprattutto, nel modo in cui lo si fa, è come se gli si dicesse: “Tu sei importante per me, tu hai valore”, si trasmette cioè che la vita vale la pena di essere vissuta.
Nei nostri centri tutte le persone che vi lavorano, dal personale delle pulizie a quello della cucina, non solo chi ha la diretta responsabilità sui bambini, collaborano alla crescita e all’educazione dei bambini e dei ragazzi, perché attraverso il modo in cui svolgono il proprio compito manifestano il senso di ciò che fanno. Anche un’azione ripetitiva, come può essere il tenere pulito un ambiente o la preparazione del pranzo, mostra una bellezza e contribuisce a rendere un ambiente accogliente. Tutto comincia davvero da uno sguardo, come ci ricordiamo sempre.
Il lavoro di accoglienza, cura ed educazione del bambino spesso si riflette e agisce indirettamente anche sulla mamma e sulla famiglia, che risentono dell’esperienza di ordine, bellezza, affetto vissute dal bambino al centro. Restituire alla madre, al momento dell’uscita, il bambino pulito e ben pettinato (anche quando è accolto al mattino in condizioni che non evidenziano neppure un minimo atteggiamento di cura) è la comunicazione di un messaggio importante, è come se le si dicesse: ”Guarda com’è bello tuo figlio!”, suscitando così una domanda: “Perché fanno questo?”. E’ in questo modo che accade a poco a poco il miracolo di un cambiamento in cui anche la madre, cambiando lo sguardo sul proprio figlio, comincia ad occuparsi di lui.
“Nell´asilo Dora Ribeiro c´é una mamma che si chiama Marcilene. É portatrice di una deficienza fisica, viene da una storia di abbandono familiare e maltrattamenti da parte dei suoi due compagni. Marcilene ha due figlie e nonostante si sforzi molto per prendersene cura, l´aspetto dell´igiene ha ancora bisogno di un lungo cammino. La figlia piú piccola é nell´asilo da circa un anno e mezzo e con frequenza arriva all´asilo con il pannolino sporco. Le educatrici del nido per il desiderio di aiutarla hanno cominciato un percorso con lei, che consisteva nel chiederle di fare il bagno alla figlia qui all´asilo ed accompagnarla in questo gesto. Le prime due volte Marcilene si é opposta e lamentata ma alla fine ha accettato anche se le sembrava che le educatrici la stessero “controllando”. La terza volta che la bambina é arrivata all´asilo sporca, le educatrici, per una serie di circostanze, non sono potute stare insieme a Marcilene mentre faceva il bagno alla figlia e lei ha vissuto questo momento da sola. Quando ha finito di farle il bagno ha riportato la bimba alle educatrici e con gioia e ci ha scritto la testimonianza qui di seguito:
“Nell´arrivare all´asilo, mia figlia ha avuto la necessitá di fare il bagno, ma non é stato un semplice bagno, nel prendere mia figlia ho avuto una sensazione cosí meravigliosa che mi ha fatto analizzare la mia vita in casa e all´asilo.
A volte noi mamme siamo presenti con il corpo, ma non con l´anima. L´anima puó essere cosí lontana!
É necessario che cambi qualcosa in casa, per poter stare bene vicino al figlio o alla figlia. Noi mamme abbiamo tanti problemi, uno dietro l´altro.
Affrontiamo cosí tante difficoltá che a volte diventiamo dure, scortesi e non capiamo il bambino. Questo bagno non é stato per me un semplice bagno, é stata la possibilitá di poter vedere da vicino ció che é necessario che cambi tra me e mia figlia, per fare della vita un dialogo, un´esperienza che pone la mamma ben vicina di corpo e di anima ai suoi figli.”
Dopo aver letto quello che Marcilene ha scritto, ho avuto la curiositá di capire il cammino che aveva fatto e allora le ho chiesto che cosa era per lei “un´esperienza” e subito mi ha risposto: “l´esperienza é qualcosa di divino! L´esperienza guarisce”. Nel dialogo che abbiamo avuto mi ha raccontato come, attraverso l´esperienza che aveva fatto, avesse percepito la sua assenza nella vita della figlia e che il bagno é stata un´occasione di parlare con la bambina. Ha detto che ogni mamma dovrebbe avere l´opportunitá di fare il bagno al figlio qui all´asilo per capire la sua responsabilitá verso l´asilo, perché a volte le mamme hanno solo delle pretese. Marcilene mi ha raccontato che nell´esperienza del bagno si é chiesta se sarebbe dovuto cambiare l´asilo o lei e lí si é accorta che il cambiamento doveva partire da lei.
Ha detto di aver fatto un´esperienza diversa dentro il bagno dell´asilo e quando le ho chiesto di cercare di spiegarmi questo sentimento lei in un modo semplice mi ha detto: “Non so spiegare, questo luogo é diverso con persone diverse! Mi sono sentita come se fossi in casa, pensando a quello che é necessario cambiare!”
Occorre tener presente, anche nei casi in cui le figure parentali sono giudicate inadeguate, che per un bambino quell’uomo e quella donna sono “suo padre, sua madre, la sua nonna” e questo “suo” viene prima dell’attribuzione di qualsiasi aggettivo (bravo, cattivo, adeguato, inadeguato…).
Se il bambino non si sente confermato in questo legame d’appartenenza, dal momento che maternità e paternità sono un dato ontologico che non può essere cancellato, non solo non lo si aiuta a vivere la sua situazione di vita, ma si aumenta la sua insicurezza.
Guardare le famiglie non come nuclei fragili e destrutturati, non come qualcosa che deve ricevere un appoggio, un aiuto, ma come risorsa che rappresentano, in qualsiasi situazione si trovino, è il punto di partenza per cominciare a condividere un progetto comune. E questo muoversi insieme per un progetto comune è l’unica modalità in cui si può svolgere il compito di educare, essendo tale compito qualcosa che non può essere svolto individualmente.
Ho parlato finora soprattutto di aspetti di cura sottolineando la loro valenza educativa; non vorrei però che si pensasse che non c”è un” attenzione alle attività di apprendimento.
Fin dai primi anni ho scelto con cura gli educatori e le educatrici dei bambini, privilegiando, anche nel momento in cui la legge brasiliana non lo prevedeva ancora (il riconoscimento dell”educazione infantile è del 1997, vent”anni dopo l”inizio della nostra avventura…), quelli che avessero un titolo di studio adeguato, così da poter offrire il meglio.
Poi, a poco a poco, strutturandoci nel lavoro, ho messo accanto agli educatori figure professioniste, come Marco il maestro di musica che ho invitato a stare con i nostri bambini perché desideravo che anche loro pur essendo poveri potessero vedere e toccare attraverso di lui la bellezza.
Far incontrare e vedere ciò che appassiona e fa crescere, mettersi in gioco nel rendere strada per l’altro la propria esperienza è educare, come dice Pir Paolo Pasolini :
“ Se qualcuno ti avesse educato non potrebbe averlo fatto che con il suo essere, non con il suo parlare, cioè con il suo amore, o la sua possibilità d’amore” .
Dire Si e andare dietro quotidianamente al maestro rende possibile un pezzo di mondo nuovo in cui comincia a diventare normale una condivisone tra persone, una compagnia vera, una solidarietà nel dolore e nella gioia.
Nell’opera Educativa Padre Giussani è visibile questo pezzo di mondo nuovo.